mercoledì 15 giugno 2011

Siamo l'Italia peggiore

di Sara Di Antonio 

E' vero, siamo l'Italia peggiore. A Milano, oggi capitale morale del risveglio di un nazione, da sempre barometro degli umori del paese, stracciavano sorridendo i curricula dei migliaia di laureati che accorrevano dalle province italiane per cercare un'occasione, un posto, un lavoro. Nel migliore dei casi li facevano diventare stagisti, o se preferite stagière alla francese che è molto più elegante ed etimologicamente corretto: ma pur sempre soggetti mal pagati, o non pagati, ingabbiati al buio di un ufficio o di un'agenzia almeno fino alle diciotto pena sentirti chiedere, se abbozzi l'uscita: “Oggi fai part-time?”.

Poi gli animi nobili della politica, dall'alto della loro terza media, ti dicevano che no, non tutti possono laurearsi in filosofia orientale, ma c'è bisogno di tecnici e ingegneri: salvo che questi ultimi, avendo fiutato l'aria, non sono poi così rari, e studiano matematica applicata tanto per guadagnare gli onestissimi millecinquencento euro dei loro padri carrozzieri.

Della mattanza dei laureati in scienze della comunicazione non posso parlarvi, perché ho visto troppe amiche talentuose condannate a rispondere al telefono in qualche oscuro ufficio Urp della provincia emiliano-romagnola mentre la collega fa i pallini sul calendario dei giorni di ferie che prenderà: ma parliamo di privilegiate, non costrette ad aprire la partita Iva per lavorare - guai a sgarrare - le loro nove ore consecutive nel bel mondo della comunicazione o della pubblicità.

Dai co.co.co., che ricordava le notti sguaiate di “Indietro tutta”, si passò al più austero co.co.pro., ed è davvero troppo sentire appelli alla microimprenditorialità individuale nei rimbrotti sontuosi dei fruitori dei vitalizi parlamentari o dagli inventori degli hedge found, quando la tassazione nel nostro paese è uguale alla Svezia. Poi i più furbi e i più scaltri il posto l'hanno trovato: un po' come l'amore o il riprodursi, sfuggendo al ricatto dei padri cinquantenni e sessantenni che preferivano dare la paghetta e comandare loro.

Quando i vertici dell'Inps non rendono noti i dati degli accantonamenti della “gestione separata” - che è quella dei parìa che non avranno diritto a una pensione degna di tale nome - pena la sollevazione popolare penso che sì, ha ragione mio padre quando sornionamente afferma che loro, al nostro posto, avrebbero bruciato la Prefettura, ma sono loro gli stessi che hanno contribuito a creare un mondo in cui, come cento anni fa, si fa carriera solo in maniera univoca: attraverso le relazioni e con le scuole private.

In un mondo ingiusto la Rete sta cercando di far cadere gli invisibili steccati di una società ostile verso una generazione che sarà meno combattiva delle precedenti, ma che comunque non può ridursi unicamente a pagare la pensione dei nonni, le poliennali maternità delle dipendenti pubbliche e le tre giornate lavorate dalle insegnanti meridionali salite al nord che scoprono di essere incinte al quarto giorno senza riuscire a vedere garantita una prospettiva di lungo termine decente.

A chi parla dell'Italia peggiore vorrei solo consigliare di non invitare i giovani ad andare all'estero ad ampliare i propri orizzonti: è sconsolante tornare a casa e capire che nulla è cambiato. Ed è lì che mi rendo conto di appartenere all'Italia, la peggiore.

Fonte: 24Emilia.com

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